Perché si configuri il reato di stalking non è necessaria la presenza fisica tra vittima ed imputato ma sono sufficienti pochi messaggi e qualche telefonata dal tono minaccioso che determinino un cambiamento nelle abitudini della persona offesa.
È quanto ribadito dalla Cassazione penale con sentenza 2 gennaio 2019, n. 61.
Il reato di atti persecutori si configura nel momento in cui la condotta minacciosa sia idonea a cagionare un perdurante e grave stato di ansia e di paura ovvero generare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto.
Nel caso preso in considerazione dalla Corte vengono individuate, sia nel contenuto di diversi messaggi WhatsApp che in una conversazione telefonica, gravi “intrusioni” perpetrate nella sfera intima della vittima che, indipendentemente dal limitato arco temporale nel quale si sono verificate, assumono rilevanza penale per l’intensità del loro contenuto.
Già da tempo la giurisprudenza ha stabilito che ai fini della configurazione del delitto di cui all’art. 612 bis c.p. non è necessaria la presenza fisica dello stalker ma che sono sufficienti comportamenti quali il ripetuto invio di e-mail, sms, messaggi sui social network, telefonate, lettere, murales e graffiti, tutti dal contenuto ingiurioso, minaccioso o sessualmente offensivo. Ovviamente l’elencazione non è esaustiva.
Infine, per quanto attiene al perdurante e grave stato di ansia o di paura sofferto dalla persona offesa, la giurisprudenza ritiene che per il suo verificarsi sia sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.